Ah la France,Paris…l’amour! Sarà un caso che proprio in questa terra fu partorita la concezione di amor cortese? Amore filosofico, letterario, sentimentale, amore che oscilla su un filo in bilico tra spiritualità e desiderio erotico, un sentimento che ha il potere di nobilitare ed innalzare l’uomo ma allo stesso tempo di renderlo adultero e peccatore.

Come un moderno Bernart de Ventadorn, vi narrerò di questi vari “stadi” dell’amore rivisti attraverso la musica degli artisti francesi che hanno calcato maggiormente le orme dei “trovatori” per arrivare fino all’ossessione erotica di Serge Gainsbourg:

AIR

L’amore platonico, l’adorazione della donna da lontano, la visione del sublime e dell’irraggiungibile. Il desiderio di perfezionamento interiore che ci trascina in un clima di adorazione quasi mistica, è questo che troviamo in alcuni pezzi degli AIR , l’acronimo  appunto sta per Amour, Imagination, Rêve(amore, immaginazione, sogno).

L’incontro tra un professore di matematica e studente di conservatorio, Jean Benoet Dunckel, e l’architetto Nicolas Godin sarà anche un appuntamento tra la passione per la musica classica e quella per tutto ciò che è elettronico. Sonorità anni 60′- 70′, tappeti di tastiere vintage, Moog, Mellotron, ondate di Vocoder e Wurlitzer impreziosite da tube, archi e talvolta anche fiati, il tutto arrangiato esclusivamente live senza campionamenti. Sono proprio queste scelte musicali senza tempo e dal sapore retro futuristico a rivolgere il nostro sguardo verso un amore lucente che transita sulla Via Lattea. Sembra proprio il caso di poter dire “Love is in the AIR”. (me l’hanno chiamata…)

BREAKBOT 

Con Breakbot(Thibaut Berland) l’amore diventa una passione naturale, frenetica, è lo sbocciare all’improvviso. La visione e il pensiero ossessivo della bellezza della donna  fanno nascere l’enorme desiderio di celebrare finalmente le pulsioni sentimentali con la consapevolezza di poter avventurarsi nel vero e proprio godimento fisico. Questa trepidazione ovviamente ha origine da un amore ostacolato, turbato, una preda difficile da ottenere. Proprio quando credi di esserne fuori e di non esserne toccato Il dj dell’amore riesce nel suo intento e ti cattura!

Funky 70′ – 80′ , soul , sonorità groovy  “e sei in pole position!” (Pace a Guido Nicheli) Senza mai omettere quel french touch che tanto lo caratterizza, il producer targato Ed Banger genera un tripudio di emozioni,un vortice che riesce a far alzare dai divanetti anche i meno avvezzi al ballo e i più schifati dal locale.

L’elettronica vi fa schifo? Un consiglio d’amico, prima di etichettare buttate un orecchio al giovane barbuto, vi farà innamorare anche dei suoi  bermuda e dei suoi calzettoni al ginocchio.

SEBASTIEN TELLIER

Erotomane parigino, mancato porno attore, in una gara di satiriasi batterebbe Tonino Carotone a mani basse. Stiamo parlando di un’altro noto barbuto, Il produttore polistrumentista Sebastian Tellier.

Nelle sue opere troviamo molte analogie con quelle degli artisti che abbiamo trattato sopra: l’eclettismo, la passione per il vintage e in particolare per le tastiere fine anni 70′, la passione per l’elettronica french touch tanto da poterlo definire come electro-cantautore, lo stile e i temi di Serge Gainsbourg e le frequenti collaborazioni con Guy Manuel De Homem Christo (che non è una bestemmia in francese,ma uno dei Daft Punk).

La sua musica e i suoi testi convergono ogni volta verso un’ unica direzione: il sesso. Tellier è la rappresentazione dell’amore adultero, gli intrighi sessuali, le avventure infinite e gli inganni finalizzati alla tanto agoniata consumazione. Sussulti, mugolii, atmosfere cariche di lussuria, passando dal jazz, al synth pop fino alla disco anni 80, tutto contornato da video espliciti che rendono il desiderio palpabile…é qui che lo chansonnier ti trascina nel suo letto e manifesta tutta la sua carica erotica attraverso le sue più fervide fantasie sessuali.

 Mi ritrovo davanti al momento di maggior introspezione del Film dei Daft  Punk “Electroma”, quando mi imbatto per la prima volta in uno dei suoi pezzi”I want to be alone”. Pezzo struggente, etereo, forse insostenibile…Il suo ascolto mi catapulta ad ipotizzare i possibili scenari della vita del cantautore americano  del quale fino ad allora  non conosco ancora nulla e mi domando il perché.

 Nella storia di Jackson lo sfigato la musica rappresenterà il principale motivo di gran parte delle sue disgrazie, ma sarà anche l’impulso che lo spingerà ad affrontarle, riuscendo a volte a superarle con una tenacia estrema. Questo ruolo di ambivalenza, oltre alla tremenda sfortuna che lo ha perseguitato, gli giocherà dei brutti tiri che lo porteranno inesorabilmente verso l’autodistruzione.Nel 1954 il giovane di Buffalo, New York, è a scuola, proprio nell’ aula di musica, quando lo scoppio di una caldaia causa un rogo che uccide gran parte dei suoi compagni di classe, lui riesce a salvarsi ma subisce gravi danni fisici e psicologici. Sarà proprio il suo professore di musica a regalargli una chitarra che gli terrà compagnia nei lunghi mesi di degenza in ospedale.

Incassati i soldi dell’assicurazione, ormai 21enne si dirigerà verso la Gran Bretagna dove cercherà con discreto successo di inserirsi negli ambienti folk di Inghilterra e Scozia, è qui che nel 1965 riuscirà a registrare il suo unico disco, prodotto dalla Emi Columbia, con alla regia un ancora giovane Paul Simon. Il suo viaggio in terra inglese risulterà un totale fallimento, così come le vendite del suo primo 45 giri, unica nota positiva sarà il  matrimonio con una modella dalla quale avrà due figli. Le tragedie di Jackson C.Frank continueranno in America, dove a causa della morte  del primo figlio (malato di fibrosi cistica), cadrà  in una profonda depressione e verrà internato in un istituto, ne uscirà dopo alcuni anni ed essendo rimasto solo e nullatenente, si ritroverà a fare il vagabondo per New York nella speranza di ritrovare le vecchie conoscenze del circuito musicale.

La sua vita vedrà uno spiraglio di luce quando nei primi anni 90’ un professore universitario ,imbattutosi nei suoi vecchi 33 giri scarabocchiati da dediche illustri, riuscirà a trovarlo  dopo alcune ricerche in quella New York dove si era ritagliato un posto da accattone e cercherà di rimetterlo in piedi aiutandolo a recuperare i suoi vecchi contatti.

Nei giorni prima di tornare a Woodstock (grazie al suo fan), il nostro beniamino passeggia sul molo quando viene colpito in faccia da un bambino che gioca con un fucile ad aria compressa. Rimarrà cieco dell’occhio sinistro…Quando si dice che  la fortuna è cieca!

Jackson morirà a Woodstock nel 1999, non riuscendo a portare a termine il tanto atteso album del suo ritorno,in compenso ci rimangono cover di Simon and Garfunkel e di altri illustri ma l’unica sua uscita è sufficiente a farci notare che abbiamo dimenticato uno dei migliori cantanti folk degli anni 60’.

Rock and Roll Animal.

Pubblicato: 12 Maggio 2012 in Album
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Era  il 1974 un momento particolare per la musica del tempo, sempre più dominata dalla musica Progressiva e quindi da un tipo di ascolto per il pubblico molto più raffinato e colto. Il rock degli anni precedenti, di grande impatto e coinvolgimento sembrava essere spazzato via per sempre. Ma Lou Reed ha tenuto in vita per un momento quello che era rimasto dell’ardore, di quel fuoco originario che si sprigionava la musica tra la fine degli anni 60′ ed inizo 70′. Reed era in un periodo d’oro grazie ai suoi due capolavori così diversi ma così geniali come “Transformer” e “Berlin”. Quest’ultimo in particolare rimarcava suoni più cupi e decadenti come nella folgorante esperienza dei Velvet Underground  anche se non fu accolto positivamente nè dalla critica nè dal pubblico. Il cantautore newyorkese doveva cambiare stile e così accadde: si trasformò nel Rock and Roll Animal, un personaggio “protopunk” devastato da droghe e alcol che lo porta nei concerti ad esprimere musica di alto livello. Viene così nel 1974 pubblicato “IL” live della musica rock chiamato appunto come l’alter ego di Reed. Contiene 7 tracce che esprimono una violenza sonora impressionante, e Reed è in questo disco all’apice della sua genialità musicale. Per capire di che grande capolavoro stiamo parlando basta ascoltare, ad un volume esagerato i primi 3.20 della prima traccia dell’album: Sweet Jane. Un crescendo di chitarre potentissimo che culmina poi con il Riff inconfondibile del pezzo, che è una vera bomba. Tutto il disco è una bomba e non ha un attimo di respiro, di calma è ROCK fino in fondo. E grazie a questa pietra miliare che Reed diviene un ispiratore, un punto di riferimento per quella generazione di giovani che saranno i futuri PUNK.

 

Questa è White Light-White Heat, altra “cover” dei Velvet Underground. Una cavalcata HARD ROCK clamorosa e imperdibile. A tutto volume come al solito e non rimarrete delusi, e come dico sempre: Provare per Credere.

Copertina album

Era il 1972. In quell’anno per la prima volta Andreotti diventa Presidente del Consiglio ( anche se per solo 9 giorni),  “il giardino dei Finzi-Contini” diretto da Vittorio De Sica vince l’Oscar come miglior film straniero e la Fiat mette fuori produzione la 500 sostituendola con la 126. Nel Novembre dello stesso anno viene lanciato “Il mio canto libero”, il settimo album di Lucio Battisti, pubblicato dalla casa discografica Numero Uno. La numero uno fu fondata da Mogol, dal padre Mariano Rapetti e dal produttore Alessandro Colombini nel 1969 , poi ceduta nel ‘74 alla RCA, l’odierna Sony BMG. Battisti si unì alla casa discografica di Mogol solo nel 1971, alla scadenza del contratto con la Ricordi, che aveva mostrato poca lungimiranza e altrettanto poca fiducia nella coppia Mogol-Battisti. Proprio attorno il ’72 cominciarono a girare le voci che Battisti fosse fascista. Naturalmente Battisti non fece mai nessuna dichiarazione che potesse lasciarlo intendere, ma quello era il periodo in cui i cantanti non era solo cantanti e le canzoni non erano solo canzoni. In quel periodo bisognava schierarsi. A Lucio non sembrava importante. Anche la copertina dell’album, raffigurante delle braccia alzate su sfondo bianco fu interpretato come una folla di saluti fascisti. Solo chiacchiere. Nulla potè offuscare lo splendore di uno degli album più riusciti della coppia Mogol-Battisti. E’ indubbio il contributo dei due alla musica italiana e alla nostra cultura. Come sono sicuro sarà capitato a molti altri, Battisti ha fatto da sottofondo a gran parte della mia infanzia. Battisti per me è una giornata di sole, la domenica in famiglia  e mio padre in auto che canta senza ritegno. Ogni canzone è un tuffo al passato, mi fa sentire come se fossi a casa, mi rassicura. Ogni canzone per me è bella. E’ difficile valutare qualcosa oggettivamente quando ci cresci insieme e ti senti parte di essa. E’ come se mi chiedessero se mia sorella è bella. E’ mia sorella, punto. E Battisti è Battisti.

Mogol-Battisti

Alcune canzoni sinceramente non saprei nemmeno dire quando è stata la prima volta che le ho sentite o per quale motivo le conosco. Da quest’album venne estratto il singolo Il mio canto libero/Confusine. Canzoni stupende. Il mio canto libero è una di quelle canzoni che io considero senza tempo e che a distanza di anni la trovo sempre magnifica. Tuttavia non è la canzone che ascolto più frequentemente dell’album. Non riesco a resistere al giro di chitarra acustica ritmata dai colpetti sulla cassa di risonanza della chitarra de “L’aquila”. E poi quando dice  “…e mi dicevi che io dovrei cambiare per diventare come te, che ami solo me. Ma come un’aquila può diventare aquilone? Che sia legata oppure no non sarà mai di cartone”,  la canzone sfodera tutta la sua forza  e tutta la tristezza che si cela dietro quelle parole ( probabilmente autobiografiche di Mogol, che in quell’anno si separa dalla prima moglie). Imperdibile poi “Vento nel vento”, senza dubbio la canzone più romantica dell’album. Vi lascio invece con una canzone più vivace. Alla chitarra c’è un certo Alberto Radius. Una garanzia.

Sensazioni Forti.

Pubblicato: 4 Maggio 2012 in Musica
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Ci sono canzoni fatte per lasciarti sospeso, in quiete, tra pensieri e sensazioni che provocano  un vortice continuo che solo quelle canzoni riescono a dare. Nel corso della storia della musica ci sono state miriadi di canzoni che hanno raccontato questo tipo di sentimento e che anche se il tempo passa rimangono immutate nella loro capacità di penetrare nel profondo del nostro cuore. Ognuno ha la “sua” canzone, quel brano che ogni volta che si ascolta ci lascia come la prima volta, colpiti nelle viscere dell’animo.Voglio parlare di un’artista che più di tutti rappresenta per me queste sensazioni di grande impatto: Van Morrison. Tra gli anni 60-70 scrive e pubblica canzoni con un pathos enorme, con un coinvolgimento emotivo tale da diventare un’icona della storia della musica. Nelle esibizioni dal vivo, in particolare quando racconta storie attraverso le sue canzoni, sembra essere trascinato in una cascata di sentimenti, dal tragico fino all’amore più completo. Il pubblico che lo segue rimane sempre atterrito, sorpreso dalla straordinaria capacità interpretativa. Van è quasi uno “Stregone” capace di attirare a se sentimenti suoi e del pubblico che lo circonda, ed a sprigionarli con una voce dalla potenza enorme. E’ inspiegabile come nel pubblico una sola sillaba di ciò che viene intonato dal  nostro eroe, vi sia una reazione di foga tanto quanto in un concerto dei suoi più scatenati colleghi dell’epoca. Ma questa è la forza della musica, di certa musica, capace di entrare dentro di noi e rimanere per sempre nella nostra testa ma sopratutto nel nostro cuore.

VAN MORRISON: un modo diverso di fare musica e di raccontare esperienze con la voce dell’anima.

L’espressione fa riferimento ad un artista o un gruppo  conosciuto dal  grande pubblico solo per un unico successo. La definizione risulta un po’ vaga e soggetta a molte interpretazioni. Varie sono infatti le correnti di pensiero circa l’etichettatura dei One Hit Wonder. Una visione piuttosto restrittiva la fornisce Wayne Jancik nel suo libro “The Billboard Book of One Hit Wonder” in cui attribuisce la qualifica di  One Hit Wonder agli artisti o i gruppi che sono rientrati nella top 40 della Billboard nazionale solo una volta, e quindi includendo artisti del calibro di Jimi Hendrix per “All Along the Watchtower” o Janis Joplin per “Me and Bobby McGee”. Come vi potete rendere conto, tale classificazione oltre che limitativa è, a mio avviso, anche ingiusta. Personalmente preferisco l’espressione nell’accezione più ampia e quindi che includa gli artisti non solo che hanno fatto un solo singolo di successo e poi sono spariti ma anche quelli che pur continuando l’attività musicale non sono riusciti in seguito ad eguagliare il successo del brano che li ha lanciati e resi famosi. Seguendo questo criterio e prendendo come riferimento la top 100 dei One Hit Wonder stilata da VH1 ho selezionato le 3 hit che preferisco.

Soft Cell – Tainted Love

                   

Soft Cell

I Soft Cell sono un duo synth pop britannico formatosi nel 1980 e scioltosi dopo solo 4 anni ( si sono poi riuniti nel 2004). Il cantante, Marc Almond, è un tipo abbastanza ambiguo. Oltre ad essere considerato un icona gay ed autore di testi piuttosto crudi che vanno dall’omicidio alla tossicodipendenza, dal travestitismo alla prostituzione, è stato membro della chiesa di Satana, un culto satanico fondato a San Francisco nel 1966 e che annovera tra i suoi membri anche Sammy Davies Junior. L’altro componente del gruppo, David Ball (sintetizzatore) dopo lo scioglimento del gruppo si adoprò come produttore, lavorando anche con Pet Shop Boys e David Bowie. Comunque sia, la canzone in questione è Tainted Love, composta da Ed Cobb   (Four Preps) e registrata per la prima volta nel ’64 da Gloria Jones.

“Amore insano, non toccarmi, per favore,non posso sopportare il modo in cui ti prendi gioco di me. Ti amo nonostante tu mi faccia del male, ora è giunto il momento di prendere le mie cose e andare, Amore insano”

 

 

 

 

Sinèad O’Connor – Nothing compares 2U

Sièad O'Connor

Frank Sinatra espresse un opinione piuttosto chiara: ”La prenderei volentieri a calci nel culo”. Questa caduta di stile da parte di Sinatra è la reazione a ciò che accadde negli studi del Saturday Night Live nell’Ottobre del 1992. In quell’occasione, secondo la scaletta prevista, la O’Connor avrebbe dovuto cantare “War” di Bob Marley. Inaspettatamente però cambiò la parte finale del testo della canzone e riferendosi al problema della pedofilia all’interno della Chiesa Cattolica strappò in diretta la foto di Papa Giovanni Paolo II (il vero nemico). Da quel momento fu ostracizzata dal mondo dello spettacolo con conseguenti ripercussioni sia sulla sua carriera che sulla sfera psicologica. Il singolo in questione è un pezzo scritto da Prince e coverizzata da Sinèad, Nothing compares 2U.

“Children, children. Fight! We find it necessary. We know we will win. We have confidence in the victory Of good over evil. Fight the real enemy!”

Dexys Midnight Runners – Come On Eileen

Il progetto dei Dexys Midnight Runners era quello di creare una miscela fra musica New Wave e musica Soul. La loro unica hit ha ben poco di soul ma quando arrivò in America riuscì a sclazare dalla vetta della classifica “Billie Jean” di Michael Jackson. Questo è quanto.

Obscure By Clouds è un disco del 1972 dei Pink Floyd e viene considerato dalla critica inferiore rispetto agli altri album pubblicati in quel momento dalla band (vedi More). L’album a mio parere è un gran laboratorio dove i Pink Floyd iniziano a concepire idee di canzoni vere e proprie abbandonando la sperimentazione sonora degli anni precedenti. Ma veniamo al “piccolo capolavoro”. Oltre a contenere pezzi strumentali ( l’album fa da colonna sonora ad un film, La Vallèè di Schroeder) ha anche dei brani cantati da Gilmour, Wright e Waters e tra questi brani c’è” Wot’s….Uh the Deal” . La canzone appena iniziata sembra quasi che non vuole farsi ascoltare, è silenziosa, calma, ma poi cresce di intensità e diviene straordinariamente avvolgente  grazie al cantato quasi angelico di Gilmour ed al tappeto sonoro dipinto da Wright col suo pianoforte mai invadente nel corso del pezzo. Le liriche sono  strepitose, eteree e sembrano proprio interpretare quel silenzio, quella calma sonora di cui accennavo prima, come se la voce di Gilmour venisse da un orizzonte  lontano. “Per lasciarmi entrare dal freddo,trasforma il mio piombo in oro,perché nel mio animo ancora spira un vento freddo e credo di stare invecchiando”. La ricerca di una fiamma, forse chissà di una speranza nuova, di credere in una persona o magari in un ideale. Chi lo sa quali oscuri significati cela questo  piccolo gioiello dei “Fluido Rosa” ma quello che è certo è che sicuramente vi colpirà per la sua “silenziosa” immediatezza. Un preludio per il Grande Capolavoro che fu Dark Side…ma quella sarà un’altra storia.

Ps: chissà che non diventi la vostra canzone preferita?

Soul.

Pubblicato: 30 aprile 2012 in Musica
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La musica dell’anima. L’argomento di questo Post è su certe sensazioni forti,che per un breve ma intenso periodo la musica riusciva a trasmettere. Questa esperienza musicale importantissima a cavallo fra gli anni 60′-70′ del secolo scorso, produsse una serie di capolavori che ancora oggi fanno venire i brividi. Forse è musica semplice al primo ascolto, ma è onesta, è sincera  e proprio perchè sincera ha il coraggio di dirti che le cose che viviamo giorno per giorno e che facciamo vengono tutte dal Cuore. Amore,Disperazione,Rabbia,la voglia di interpretare i sentimenti è uno dei meriti più importanti del Soul che ancora oggi rimane una forma musicale immortale.

Vi propongo un pezzo di Al Green (segnatevelo su un fogliettino) uno dei massimi esponenti del genere, che in questo brano esprime la solitudine di uomo che non riesce a trovare l’amore desiderato . Appena premete Play provate a chiudere gli occhi e sentire nella splendida voce del “Reverendo” tutta la disperazione di uomo triste e solo. “Tired of Being Alone” solo 3 minuti di puro e semplice sentimento.

Chiudo citando una frase di un film di Alan Parker “The Commitments”: “C’è tanta buona musica in giro ma il soul è più di questo:” Ti Prende per le palle e ti tira fuori dalla merda”. Provare per credere fratelli.

Il 7 Settembre 1978  il batterista degli Who, Keith Moon, e sua moglie, Annette Walter-Lax, cenarono a casa di Paul e Linda McCartney. A conclusione della serata Annette e Keith tornarono a casa. La casa in questione era un appartamento a Curzon Place, affittata dal cantante Harry Nillson, famoso nel mondo per due canzoni, una è “Everybody’s Talkin’ ”, che fa da sottofondo al film “Un uomo da marciapiede”, con Dustin Hoffman e John Voight e l’altra è una cover dei Badfingers, “Without You”, resa ancora più famosa da Mariah Carey. Una volta a casa,  Keith si mise nel letto e cominciò a vedere il film “L’abominevole Dott. Phibes”, di cui tuttavia non riuscì a vedere la fine a causa della sonnolenza provocata dal Clometiaziolo, un farmaco usato per curare l’alcolismo. La mattina seguente si svegliò e chiese ad Annette di preparargli una bistecca. Quando questa si lamentò per essere stata svegliata per preparargli un altro pasto, Moon sbraitò: ”If you don’t like it, you can f*** off!”. Queste furono le ultime parole pronunciante da Keith Moon che  finito di mangiare si riaddormentò senza più svegliarsi. Dall’autopsia risultò che aveva ingerito 32 pillole (quante i suoi anni), quando solo sei sarebbero risultate fatali. Pochi anni prima, il 4 Luglio del 1974, nello stesso letto, nella stessa cassa moriva Cass Elliot, Mama Cass, la figura più nota dei The Mamas & the Papas, anch’essa ospite di Harry Nillson. Quest’ultimo infine decise di vendere (finalmente) l’appartamento di Curzon Place. Indovinate chi lo acquistò? Pete Townshend.

Sotto, gli Who, live  al programma televisivo americano The Smothers Brothers Comedy Hour. Finito di suonare cominciarono a distruggere tutti gli strumenti sul palco, come di solito facevano. Tuttavia quella volta, per rendere tutto più bello, quel burlone di Keith mise una carica esplosiva nella cassa della batteria, che scoppiò incendiando i capelli di Pete Townshend e rendendolo temporaneamente sordo. Buon divertimento.

Free bird

Pubblicato: 29 aprile 2012 in Musica
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Parlare di musica è come ballare di architettura diceva Frank Zappa. Mai parole più vere. Tuttavia senza un’adeguata presentazione corriamo il rischio di perdere l’occasione di fare nostre o sottovalutare alcune delle migliori canzoni che siano mai state scritte, quelle in grado di cambiarti la giornata o farti sentire in pace per una manciata di minuti. Non parlo di canzoni come Stairway to Heaven, Bohemian Rhapsody o Wish you were here, chiunque sarebbe in grado di innamorarsi di quelle. La musica non è questo. La vita non è questo. La musica proprio come la vita è questione di sfumature. Non puoi lasciare che solo pezzi come questi, per quanto belli, facciano da sottofondo a tutta la tua vita senza tentare di allargare gli orizzonti. Sarebbe come leggere due o tre righe a caso di un bellissimo libro per poi richiuderlo. Non ti viene voglia di sapere come inizia la storia? O come finisce?

Vi lascio con questa tamarrata scritta dai Lynyrd Skynyrd e dedicata a Duane Allman, chitarrista degli Allman Brothers Band ed uno dei più grandi chitarristi della storia, morto di incidente stradale all’età di 25 anni.

Ps: l’assolo di questa canzone è considerato uno degli assoli più lunghi della storia fatti in studio. Una cafonata.